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Lo stesso cammino di condivisione che Pietro e i discepoli vissero con Gesù è oggi possibile per ciascuno di noi se affrontiamo l'esistenza a partire dall'incontro con Cristo presente e vivo nella comunità cristiana. Nella Chiesa attraverso la comunione, alla scuola della Scrittura, della Tradizione e del Magistero, [Cfr. Dei Verbum 10] facciamo nostri il pensiero e i sentimenti di Cristo che crescono progressivamente in noi generando una mentalità.

Già nella lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino, [Cfr. A. SCOLA, Alla scoperta del Dio vicino, Centro Ambrosiano, Milano 2012] per riferirmi al pensiero di Cristo ho voluto ricorrere ad una espressione di san Massimo Confessore (580-662), a commento dell'affermazione di san Paolo, che trovo particolarmente espressiva del cammino cui siamo chiamati: «Anch'io, infatti, dico di avere il pensiero di Cristo – “nous Christou” - che pensa secondo Lui e pensa Lui attraverso tutte cose».

Secondo me l'espressione di san Massimo descrive assai bene cosa significhi avere il pensiero e i sentimenti di Cristo.

In primo luogo essa esprime il dono e il compito di pensare secondo Cristo, cioè riconoscere nella persona di Gesù il criterio per guardare, leggere e abbracciare tutta la realtà. Il grande santo teologo ci indica, poi, il secondo elemento di questa nuova mentalità: la necessità per il cristiano di pensare Lui attraverso tutte le cose.

[MASSIMO CONFESSORE, /I Dio-uomo, a cura di Aldo Ceresa-Castaldo, Jaca Book, Milano 1980, 103.]

a) Pensare secondo Cristo

Cerchiamo di esemplificare il primo aspetto. L'incontro che Pietro e gli apostoli hanno fatto con Cristo, così come il nostro personale incontro con Lui nella Chiesa, si manifesta, grazie all'opera dello Spirito Santo, come il cuore stesso dell'esistenza. Gesù diventa il centro affettivo della persona. L'incontro con Gesù per il credente è la sorgente di un nuovo modo di pensare gli affetti, il lavoro, il riposo e la festa, l'educazione, il dolore, la vita e la morte, il male e la giustizia. Egli trova in Cristo il criterio per valutare ogni cosa approfondendo l'unità della propria persona.

Come abbiamo documentato, Pietro ha sperimentato la verità - e la con-venienza - di quella promessa del “centuplo” fattagli da Gesù quando, in un momento di sbigottito stupore dei discepoli a proposito della possibilità di salvarsi, Pietro chiede: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?» (Mt 19,27).

Cos'è, alla fine, questo “centuplo” se non proprio l'esperienza di pensare e sentire come lo stesso Cristo Gesù? Si potrebbe affermare che l'espressione il pensiero di Cristo dice in modo stringato l'esperienza che Gesù ha fatto della realtà in tutta la sua pienezza, lasciandosi definire dal rapporto con il Padre dall'inizio alla fine della sua missione (cfr. Gv 16,28). Il pensiero di Cristo non è anzitutto un insieme di conoscenze intellettuali. È piuttosto una “mentalità”: un modo di sentire ed intendere la realtà che scaturisce dall'aver parte con Cristo.

[Il sostantivo nous (mentalità) ha qui un senso molto ampio che fonde insieme il significato dei seguenti verbi: intendere, comprendere, interpretare, calarsi nella realtà, riflettere, conoscere, percepire, valutare. Si tratta del vivere coscientemente dentro la realtà avendo una propria capacità di lettura del senso delle cose e dell'esperienza in atto. Quanto alla formula "di Cristo" riferita al "pensiero'; essa ha un senso sia "oggettivo" (= il pensiero secondo Cristo) che "soggettivo" (= il pensiero di Cristo stesso): nel primo caso si tratta di corrispondenza-adegua mento al suo pensiero, nel secondo di partecipazione-condivisione del suo pensiero].


1) Immedesimarsi con Gesù

In questa prospettiva lasciarsi educare al pensiero di Cristo chiede di immedesimarsi con il pensare e il sentire di Cristo, con il suo modo di guardare e abbracciare la realtà. Il “sentire” fondamentale di Cristo, espresso nella prima parte dell'inno della Lettera ai Filippesi (cfr. Fil 2,5-8), è determinato dalla sua obbedienza filiale al Padre, dal vivere ogni circostanza come missione da svolgere per la nostra salvezza.

La frase in questione è tradotta dalla CEI così «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù». Andrebbe letteralmente tradotta così: «Abbiate in voi quel modo di sentire che è proprio di chi è in Cristo Gesù». Il verbo greco phronein rinvia al sostantivo phren (plurale più usato: phrenes) che indica il diaframma. Nel mondo greco-ellenistico il diaframma, che regola il modo e la forza del respiro, fu molto presto considerato sede di attività intellettuale e psichica, come espressione di unità psicosomatica dell'uomo. In Omero significa "interno" dell'uomo, cioè senso, animo, senno, coscienza, mente e simili. Si contrappone a thymos che si riferisce invece all'emozione e all'impulso. La phronesis si affianca alla sophia ed è inseparabile. Rispetto alla seconda ha una connotazione più pratica. Soprattutto esprime la dimensione sempre etica del sapere e del comprendere umano. Essa aiuta l'uomo nel conflitto tra bene e male. Per Socrate la phronesis è dominio del bene sull'anima. È strettamente connessa con il nous: insieme costituiscono il dono divino che fa del filosofo e dell'uomo di stato un vero legislatore. Un sapere dunque che rifluisce a beneficio della società; un sapere che unisce la sfera intellettiva a quella pratica e specificamente sociale nella linea della elaborazione delle leggi, avendo presente la dimensione religiosa e la dimensione etica.]

Gesù Cristo guarda e legge gli avvenimenti nella prospettiva del Padre e del suo disegno d'amore sulla storia della famiglia umana. Il criterio per valutare la realtà nelle sue varie dimensioni viene dato ai credenti da una nuova logica, da un nuovo modo di pensare commisurato all'essere “in Cristo” (cfr. GaI 1,22; 3,28; Rm 8,1; 16,17; 1 Cor 1,30).

2) Spalancati al mondo

L'incontro con Cristo, pertanto, spalanca ad ogni altro incontro e rende capaci di affrontare ogni situazione secondo questa nuova mentalità che scaturisce da Lui. Gesù, infatti, non può in alcun modo essere confinato in un angolo privato della propria esistenza e nemmeno essere considerato come una realtà “in più”: da aggiungere ai numerosi doveri e interessi che ci impegnano.

Sentire con Cristo è la sorgente di una cultura, capace di promuovere tutto l'umano, cioè l'uomo nella sua integralità, e tutti gli uomini, senza esclusione alcuna.

b) Pensare Lui attraverso tutte le cose

San Massimo non si accontenta di spiegare l'affermazione di Paolo come il pensare secondo Cristo. Con geniale profondità egli continua affermando che avere il pensiero di Cristo implica anche pensare Cristo stesso attraverso tutte le cose,nessuna esclusa. Ciò significa che ogni circostanza ed ogni rapporto, in tutta la loro drammaticità carica di tensioni e di prove, sono occasione provvidenziale per scoprire la ricchezza inesauribile del mistero di Cristo che, lo ripeto, chiede un'apertura a 3600 verso tutto e verso tutti: il campo è il mondo! [Cfr. A. SCOLA, Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all'umano, Centro Ambrosiano, Milano 2013.]

1) Gesù all'origine di tutto e il "culto" cristiano

Come è possibile questo? Anzitutto quel Gesù di Nazareth che i primi discepoli hanno incontrato sulle rive del Giordano lasciando ogni cosa per seguirLo, è colui nel quale «furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili ( ... ). Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16). Pertanto non vi è nulla nel reale che sia estraneo a Gesù Cristo e tutto ci parla di Lui.


Per questo il culto cristiano non è riducibile a riti, ma si attua in pienezza con il vivere tutta l'esistenza “in Cristo”: L'Apostolo delle genti, in un passaggio della Lettera ai Romani, lo illustra bene. Mi riferisco al celebre passaggio del capitolo 12: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,1-2). Offrire il proprio corpo indica qui la totalità dell'esperienza umana [Cf. BENEDETIO XVI, Sacramentum Caritatis 70-71.] Culto spirituale, come ci spiega la più avveduta esegesi, vuoi dire culto “umanamente conveniente”: Affidarsi a Gesù, con l'aiuto della Vergine e dei Santi, dall'interno di ogni circostanza, favorevole o avversa, di ogni rapporto, amico o nemico, instaura già da quaggiù un esaltante rapporto con l'Eterno. [Va notato che la formula «il vostro culto spirituale» traduce qui il greco: «Iogike latreia hymon», cioè il vostro culto logico, secondo la logica delle cose, che deriva per logica da ciò che è stato detto finora, cioè dalla rivelazione dell'evangelo che costituisce il cuore della Lettera ai Romani (cfr. Rm 1,16). Quindi il culto che si conviene, che è giusto ma che è anche nuovo e quindi diverso. È un culto che non si rinchiude nei contesti sacra li, nei luoghi del rito, anche se non li esclude, ma che, proprio nella logica della rivelazione evangelica, abbraccia l'intera vita e si configura come un modo di porsi dentro il mondo. Non per nulla chiama in causa il corpo, cioè la dimensione corporea della persona, grazie alla quale ci si rapporta liberamente e coscientemente alla realtà tutta intera.]

2) La "forma" di Cristo, non lo "schema del mondo"

Constatiamo ogni giorno come questo “culto spirituale”: cioè l'offerta della nostra vita in Cristo, con Cristo e per Cristo, non sia automatico. Per questo Paolo, con profondo realismo, ammonisce i cristiani che sono nel mondo a non conformarsi alla mentalità del mondo o, come suggerisce il verbo greco, a non lasciare che sia il “mondo” a conformarci al suo “schema”: Non ci si può conformare al mondo quando propone schemi distruttivi nei confronti delle singole persone, della famiglia umana e della stessa creazione.

Essi provengono, come l'evangelo paolino ha mostrato, dall'enigma originario del peccato dell'uomo, dal suo cuore ferito e smarrito che rimane esposto alla seduzione della affermazione di sé a scapito di tutto e di tutti (cfr. Rm 3,9-18;5,12-21; 14-25).

Assecondare l'incontro con Cristo, mettersi alla sua sequela, comporta una permanente conversione (metanoia), vale a dire un cambiamento di mentalità per assumere sempre di più la persona e l'esistenza di Cristo come criterio del proprio pensare ed agire.

Si precisa così meglio in che cosa consista il culto spirituale. Tutta l'esperienza del vissuto umano, nelle sue varie dimensioni, entra nella stessa sfera liturgica acquistando una dignità straordinaria.

Lo mostra il nesso tra Eucaristia e carità documentato da tanti santi.

c) Pensare e sentire insieme

Il libro degli Atti degli Apostoli mette poi in evidenza come l'educarsi a pensare secondo Cristo e a pensare Lui attraverso le cose, non sia opera individuale, ma esercizio di comunione con i fratelli nel Signore Gesù. San Paolo richiama questa dimensione della vita cristiana - l'essere con, l'essere in comunione - quando, a conclusione della sua seconda lettera ai Corinti, scrive: «Per il resto, fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi» (2 Cor 13,11).

Sentire con Cristo implica sempre un sentire con la Chiesa, in intima unione con il popolo santo di Dio, ma ciò esalta le diverse sensibilità, i diversi carismi e ministeri presenti nella comunità ecclesiale. È questo il criterio della pluriformità nell'unità, vera e propria legge della communio. In definitiva, pensare e sentire con Cristo è l'opera dello Spirito Santo in noi che ci introduce nel mistero d'amore del Dio trinitario. La "logica" del culto cristiano che abbraccia l'intera esistenza diventa mendicanza dello Spirito (cfr. Rm 5.5).