b) Una lenta maturazione.

Gesù educa a una nuova mentalità, cioè, al Suo sguardo e sentimento delle cose, Pietro ed i discepoli, chiamandoli a stare con Lui (cfr. Mc 3,14), ad ascoltare la sua parola, guardando come Egli incontra e si relaziona con le persone, come giudica i fatti che accadono, come vive il rapporto con il Padre nella preghiera. Per esempio, nei discorsi "polemici" con le autorità religiose di Israele, in particolare farisei e sadducei, emerge un modo nuovo di intendere il rapporto con Dio, di obbedire alla legge, di relazionarsi con i peccatori, di guardare ai bisogni delle persone. Il suo sguardo misericordioso sui peccatori richiama tutti alle proprie responsabilità e permette un nuovo inizio; la misericordia di Dio, che si attua in Gesù, fa scoprire che la persona è più grande del suo peccato. Così accade con la peccatrice nella casa del fariseo Simone (cfr. Lc 7,36-50), con l’adultera trascinata davanti a Gesù (cfr. Gv 8,1-11), con Zaccheo, capo dei pubblicani (cfr. Lc 9,1-10); la stessa chiamata di Matteo tra i suoi apostoli si pone su questa linea, sconvolgendo la mentalità comune. Anche all’interno della comunità dei discepoli il perdono del fratello non può che misurarsi su quello di Dio (cfr. Mt 18,21-35).

I fatti che accadono ricevono piena luce dalla parola di Gesù; la malattia del cieco nato, ad esempio, non è spiegata a partire dalla colpa che, secondo i suoi contemporanei, l’avrebbe originata, ma come realtà destinata alla gloria di Dio (cfr. Gv 9,1-3); così pure le calamità che accadono non sono lette alla luce di una loro relazione con il peccato, ma come invito urgente alla conversione (Lc 13,1-5). Gesù insegna ai suoi discepoli a giudicare secondo uno sguardo che va alla radice degli atteggiamenti e delle azioni umane. Pensiamo, ad esempio, alla vedova che getta due spiccioli – tutto quello che ha – nel tesoro del tempio (cfr. Mc 12,41-44).

La sollecitudine educativa di Gesù nei confronti dei suoi discepoli è attestata nei Vangeli da quei passi che lo mostrano impegnato nella predicazione attraverso gesti e parabole, che poi in disparte spiega ai discepoli perché imparino a “sentire” la vita come Lui, cioè in profonda unione con il mistero del Padre. Così avviene a proposito della parabola del seminatore, la parabola per eccellenza sul Regno di Dio, chiave di accesso per la comprensione delle altre parabole (cfr. Mc 4,10-34); dell’insegnamento sul puro e l’impuro che si annidano nel cuore dell’uomo (cfr. Mc 7,14-23); della questione del divorzio e dell’adulterio ad esso connesso (cfr. Mc 10,1-12); dell’annuncio della distruzione del tempio che dà avvio al discorso escatologico, in cui Gesù mette in guardia dalla curiosità apocalittica invitando alla vigilanza (cfr. Mc 13,1-37).

Questo modo nuovo di intendere la vita trova una impressionante documentazione nel discorso della montagna (cfr. Mt 5,1-7,29; Lc 6,20-38), ove vengono ribaltate le categorie con cui si è soliti interpretare l’esistenza. Gesù propone un modo diverso di pensare, il rapporto con Lui si rivela come criterio interpretativo della realtà tutta.

I discepoli, insisto, imparano il pensiero e i sentimenti di Cristo condividendo con Lui la loro esistenza, vedendo come si muove ed agisce, fino a giungere ad abitare con Lui.

L’esperienza della sequela e della condivisione di vita con Cristo porta gli apostoli a crescere nella certezza circa Gesù e il mistero della sua persona, eccezionale oltre ogni paragone. L’episodio della moltiplicazione dei pani e del successivo discorso sul pane di vita nella sinagoga di Cafarnao, riportato nel sesto capitolo del Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 6,1-59), è in questo senso eloquente. Mentre, da una parte, costituisce un passaggio esemplificativo di come Cristo introduca un nuovo modo di sentire e pensare la vita, dall’altra parte, la duplice reazione che ne consegue mette in evidenza la posizione della libertà di Pietro e dei Dodici rispetto a Cristo, in contrasto con molti discepoli che si allontanano dalla sequela scandalizzati dal suo «linguaggio duro» (cfr. Gv 6,60-66). Partendo dal bisogno del cibo, Gesù conduce i suoi uditori a scoprire nel proprio cuore un desiderio più radicale, quello di un cibo che non perisce, capace di dare la vita eterna. Quel cibo è Lui stesso, il pane vivo disceso dal cielo che dà la vita al mondo. La durezza delle parole di Gesù sul mangiare la carne e bere il suo sangue determina una crisi tra i suoi discepoli, e costituisce un momento decisivo anche per Pietro e gli altri apostoli. Sfidati da Gesù stesso con la domanda: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67), la risposta di Pietro a nome dei Dodici esprime una posizione del tutto ragionevole: «Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (cfr. Gv 6,68). Da dove nasce una simile affermazione? Dall’evidenza di un’esperienza di condivisione di vita con Gesù. Di fronte al modo con cui Gesù agiva, parlava, spiegava la realtà, nulla era più ragionevole che fidarsi di Lui, anche se il contenute radicale del discorso di Gesù poteva al momento non essere capito. Non seguire Gesù sarebbe stato rinnegare un’evidenza, Da qui la confessione di fede di Pietro: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,69).