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«Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani. Quando udirono questo, tutti insieme inalzarono la laoro voce a Dio:Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano tu che, per mezzo dello Spirito Santo,dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide: Perché... si sollevarono i re della terra e i prinicpi si allearono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo; davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d'Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato, per compiere ciò che avvenisse. E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai yuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola, stendendo la tua mano affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù". Quand'ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza» (At 4, 23-31)

Carissime e carissimi,
il brano degli Atti degli Apostoli mi riconduce all'inizio di questa mia lettera, ai cristiani-ma anche agli uomini e alle donne dell religioni, ai costruttori di giustizia-perseguitati in tante parti del mondo. Penso di nuovo all'incontro personale con i rifugiati di Erbil.

Dalle loro sofferenze sgorga una preghiera siili a quella degli Apostoli nella persecuzione appena citata. È una preghiera per la franchezza e per il coraggio. Essi li invocano dallo Spirito. Mi chiedo: ai discepoli terrorizzati di fronte al Crocifisso, che perlopiù erano stati «da lontano a guardare» (Lc 23,49), rinserrati in una stanza per paura dei capi, a dove venne l'energia di invocare franchezza e coraggio dallo Spirito? Come si produsse un cambiamento così radicale da condurli fino a seguire Gesù nell'offert martiriale della vita? Solo da un fatto: l'avevano incontrato, visto, toccato e ascoltato risorto. Dietro la loro vita terrena perché avevano imparato che non tutti, vivi o morti, «siamo del Signore» (Rm 14,8).

Dopo più di duemila anni, le nostre sorelle e i nostri fratelli perseguitati-a cominciare dai nostri contemporanei come padre Kolbe, monsignor Romero o don Puglisi -, senza soluzioni di continuità, fanno la stessa esperienza di franchezza e di coraggio, di certezza che «chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 10,39).

Carissime e carissimi,
il martirio non è solo quello del sangue. Questo è un dono di Dio che «rivela nei deboli la sua potenza e dona agli inermi la forza del martirio» (Prefazio romano dei Santi Martiri); ma ogni genere di santità, ogni autentica vita spesa nella fede e nella comunione implica il martirio dell'offerta quotidiana di sé a Cristo per il bene di ogni fratello uomo. Anche ai cristiani della nostra generazione è chiesto almeno questo genere di martirio. Dal nostro cuore sgorghi, decisa, la domanda del coraggio dell'animo umile, della testimonianza autentica.

Usciamo ad annuciare Gesù come fecero i primi. Percorriamo con umile franchezza e coraggio le vie del mondo, ricchi solo della quotidiana compagnia di Gesù e della sua Chesa. Senza pretese, liberi dall'esito: sappiamo che ci muove solo lo spirito di Colui che ci ha detto:«io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Noi vogliamo solo amare e sentire come Cristo e pensare Lui attraverso tutte le circostanze e i rapporti della nostra esistenza per il bene nostro e di tutta la famiglia umana.

Nel Signore Vi saluto e Vi benedico.