60esimo Parrocchia 17.11.1963-17.11.2023

Avere il pensiero di Cristo e condividerne i sentimenti sono due facce di un'unica e inscindibile realtà. [Parlare di "sentimenti", per Paolo, non significa limitarsi all'ambito dell'emotività, ma dice una percezione più globale che comprende l'intelligenza e la volontà e rinvia a ciò che è proprio dell'uomo nel suo rapporto globale, libero e cosciente con la realtà.

Ad esso si collega e da esso deriva un atteggiamento attivo nei confronti dell'esistenza, quello che definiamo "responsabilità" e che rinvia alla dimensione etica.]

Ma come possiamo educarci al pensiero e ai sentimenti di Cristo? Anzitutto, vale la pena ricordare che Paolo, quando parla del "pensiero di Cristo” - «noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16) - lo presenta come un modo di pensare che l'apostolo scopre in sé come dono della Pasqua (cfr. 1Cor 2,1-2). Lo riceviamo con santo battesimo. Il pensiero di Cristo è la grazia di una "sapienza" nuova. [Esiste una sapienza dei "maturi" o "perfetti" che viene solo dallo Spirito Santo e contrasta radicalmente la sapienza del mondo (cfr. 1 Cor 2,6-8) perché è sapienza della croce (cfr. 1 Cor 1,18). Questa sapienza è dono che si sperimenta con meraviglia e gratitudine come frutto della grazia di Dio mediante lo Spirito Santo: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito» (cfr. 1 Cor 2,9-10)]

 Non un pacchetto ben confezionato di buone idee cui fare ricorso alla bisogna. Come ogni vero dono (pensiamo ai talenti con cui ogni uomo viene al mondo), anche la fede domanda di maturare, di fiorire e fruttificare in noi fino a diventare "pensiero e sentimenti di Cristo Gesù". Non perciò una conquista di cui vantarsi, ma un dono dello Spirito Santo di cui essere grati. È la sorpresa di uno sguardo (una mentalità: nous) che urge al paragone con se stessi, con gli altri, con tutta la realtà e con Dio.

Questo cammino di maturazione è lo stesso che hanno percorso i discepoli alla sequela di Gesù. Un cammino ben documentato nei Vangeli e pertanto accessibile ad ogni uomo.

Ho scelto per questo di seguire, sia pure sommariamente, il percorso di Pietro; può essere paradigmatico per il cammino che ogni discepolo deve compiere per lasciarsi lentamente educare da Lui ad una nuova comprensione della realtà che Lo riconosca come fondamento (cfr. 1 Cor 13,11).

L’apostolo Pietro è certamente una delle figure più appassionate alla sequela di Gesù. Una sequela che deve sempre misurarsi con una libertà “costretta” da Gesù e dalle circostanze a ridire il proprio ̀sì ̀ iniziale. Se c’è qualcosa che descrive fino in fondo il cammino di Pietro è la sua decisione di restare sempre e comunque ancorato al Maestro. Senza mai permettere alla propria fragilità di staccare il cuore da Lui, neppure nel momento buio del rinnegamento, subito vinto dalla sguardo amoroso di Gesù, ricevuto tra le lacrime (cfr. Lc 22.61-62): «Pietro si rattristò e pianse perché sbagliò come tutti gli uomini. Non trovo che cosa abbia detto, trovo che ha pianto (…) Ho scoperto perché Pietro ha taciuto: perché, chiedendo tanto presto il perdono, non si rendesse ancora più colpevole. Prima bisogna piangere, poi pregare. Lacrime eccellenti, perché lavano le colpe. Del resto, coloro che Gesù guarda si mettono a piangere (…) Guardaci, Signore Gesù affinché sappiamo piangere sul nostro peccato» [AMBROGIO, Esposizione del Vangelo di San Luca X, 89-90]. Seguiamo pertanto insieme il suo percorso, intrecciato con quello degli altri discepoli, per vedere come dall’incontro con Cristo scaturisca la possibilità di pensare e di sentire come Lui.

a) La chiamata: un nuovo sentimento di sé.

Tutto ha inizio con la chiamata dei primi discepoli sul lago di Galilea (cfr. Mc 1,14-20; Mt 4,18-22; Lc 5,1-11). Una chiamata il cui senso profondo può essere descritto con le parole di Benedetto XVI; «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva» [BENEDETTO XVI, Deus caritas est 1; FRANCESCO, Evangelii Gaudium 7].

L’incontro con Gesù ha spalancato a Pietro e ai discepoli un orizzonte nuovo, una nuova possibilità di vivere il rapporto con se stessi, con gli altri, con tutto il creato e con Dio. Accogliere quell’incontro significa per i discepoli ospitare nella propria vita una persona che rivela loro a loro stessi. Chi incontra Cristo si sente conosciuto nell’intimo da Lui. È l'esperienza degli Apostoli (cfr. Gv 1,42.47-48), e non solo. Pensiamo, ad esempio, alla Samaritana (cfr. Gv 4,29).

Il caso di Pietro però è ancora più significativo. Donandogli una nuova identità (cfr. Gv 1,40-42), Gesù gli svela fino in fondo chi egli è e chi è chiamato a diventare, quale compito è chiamato a svolgere nella storia della salvezza. Nell'incontro con Cristo, Simone incomincia a comprendere il valore della sua esistenza e della sua libertà. Con il tempo, seguendo Gesù, giungerà a capirne le implicazioni per lui e per la Chiesa.

Il Vangelo di Luca (cfr. Lc 5,1-11) evidenzia, inoltre, tratti della sequela di Pietro decisivi per entrare nella vita di Cristo e nella sua logica: a) fidarsi totalmente di Lui, anche in ciò che può apparire incomprensibile («Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo ptreso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti», Lc 5,5), e b) riconoscere l'incolmabile sproporzione tra la propria miseria e il Suo amore («Signore, allontanati da me, perchè sono un peccatore», Lc 5,8). Una sproporzione che Gesù abbraccia e attraversa affidando a Pietro il compito di essere «pescatore di uomini» (Lc 5,10), In Pietro insorge un nuovo "sentimento " di sé.